Es17, 3-7; Sal 94; Rm 5.1 - 2.5-8; Gv 4, 5-4
INTRODUZIONE
PREMESSE
DI SERVIZIO
a)
Ciò che scrivo non è frutto né di una mia interpretazione, né di un mio lavoro
creativo: mi limito ad elaborare e a dare unità (non arbitraria) a ciò che gli
esegeti hanno scritto. Di mio c’è il ‘rimuginare la Parola’, come facevano gli
antichi padri del deserto. E il materiale rimasticato mi fa scrivere ciò che
scrivo.
b)
Seguendo le letture liturgiche domenicali, si può avere la sensazione che il
continuo ‘saltare’, ad esempio nel vangelo del giorno, da Matteo a Giovanni e,
in seno a Giovanni, da un capitolo all’altro, possa rendere meno fruttuosa la
conoscenza esatta della stesura redazionale; tanto che sembra giustificata la
domanda: non è meglio leggere il vangelo fuori dal vincolo liturgico, nella sua
continuità redazionale?
Rispondo
a me stessa prima che a voi: il legame liturgico non è inutile; è un metodo di
lettura, utile come è utile ogni metodica seguita nell’adempiere i gesti della
quotidianità. In particolare, la messa domenicale che si celebra nelle chiese,
è punto di riferimento indiretto anche per coloro che guardano alla chiesa
cattolica pur essendone lontani; e i lontani dovrebbero essere i più vicini ai
fedeli praticanti.
c) In questa domenica la liturgia propone
Giovanni, anziché Matteo che seguiamo maggiormente durante l’anno del ciclo A.
Giovanni compare più volte anche quando l’anno liturgico segue uno dei
Sinottici. Compare soprattutto nei momenti cruciali dell’itinerario messianico,
che tutti i vangeli percorrono attraverso cinque tappe: Avvento e Natale,
Quaresima e Pasqua, Tempo ordinario.
d) Ma è veramente
accaduto l’episodio narrato oggi? E’ questa la domanda che mi hanno rivolto
parecchie persone a cui ho concesso l’anteprima di questo post. Tutti, quando
raggiungiamo l’età matura dobbiamo svegliarci dalle sicurezze storiche. Per
analogia, anche circa le favole, le leggende, i detti sapienziali, dobbiamo
disincantarci dalle sicurezze che ci sembravano assicurate quando li leggevamo
e credevamo attribuibili a precisi riferimenti a fatti storici o a firme di
autori ritenuti esistenti nel passato. Con la maturità la caduta del mitico non
crea traumi, se si sa cogliere la ricchezza del contenuto per se stesso.
ELEMENTI-CHIAVE
DELLE LETTURE ODIERNE
a)
Primo
elemento è la sapienza della pace, quale connotato di Dio e modello
della comunione da realizzare in tutto il creato:
-
In
Esodo il popolo di Dio soffre la sete nel deserto attraversato per raggiungere
la terra promessa, e mormora contro Mosè, poiché non si fida dei disegni di
amore del Creatore. Il Quale dà prova, attraverso il prodigio di Mosè che fa
sgorgare acqua dalla roccia, della sua fedeltà all’Alleanza.
-
Nella Lettera ai Romani Paolo afferma: “noi siamo in pace con Dio per mezzo del
Signore nostro Gesù Cristo”. Non dunque una pace che sia frutto di imprese e
meriti umani, ma che è accettata come dono divino. L’umiltà trasforma la
povertà spirituale mediante il ricorso all’aiuto divino, e in tal
modo scioglie la durezza del cuore.
-
Nel Vangelo la “donna samaritana” rappresenta un’umanità degradata e ingannata
dall’ipotesi di una solitudine autosufficiente, individualista e quindi
fatalmente aggressiva. Il testo giovanneo descrive un itinerario che strappa
alla solitudine miseramente orgogliosa e fa riscoprire il volto nuziale della
esistenza umana. Bisogna che l’umanità recuperi la sapienza della relazione
divina, fuori dalle adorazioni idolatriche alienanti, per innestarla nella
storia dell’umanità ferita e guarire le sue ferite.
b) Secondo elemento è
l’acqua, simbolo supremo di
ciò che può soddisfare la sete di Dio. Acqua e sete sono simboli
ricorrenti nella Bibbia. Circa 1.500 versetti dell'Antico e oltre 430 del Nuovo
Testamento sono "intrisi" d'acqua. C'è una vera e propria
costellazione di realtà che ruotano attorno a questo elemento così prezioso. E
Cristo ne ha fatto il suo emblema, come si intuisce nell’incantevole dialogo
con la Samaritana [che sarà frutto di ricostruzioni, ma è efficace e toccante]: v.14 … chi beve dell'acqua che io gli darò non avrà
più sete, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che
zampilla per la vita eterna.
ALTRE
PUNTUALIZZAZIONI
-
Nel vangelo di Giovanni, le parole poste in bocca a Gesù sono, a differenza di
quelle usate nei Sinottici, rarefatte, perché proiettate verso orizzonti
infiniti.
-
E’ da tener presente che questo vangelo, spesso letto come un freddo testo
filosofico, è invece un testo drammatico. Appaiono testimoni, criminali
o santi, che non sono mai delle figure circoscritte, anagrafiche, ma
rappresentative della storia dell’umanità, in cui con c’è chi non possa
riconoscersi. E sfilano tre personaggi che rappresentano tre avventure
emblematiche di fede: Nicodemo, la samaritana e il funzionario regio. La
seconda, la Samaritana, che è oggi sotto lo sguardo dei lettori, rappresenta
l’ebreo eretico. E’ una donna svantaggiata per la sua appartenenza di genere;
ma è stata scelta intenzionalmente da Giovanni come simbolo del giudaismo
eterodosso, in quanto appartenente ad una razza miscelata con i coloni assiri
(da quando la Samaria era crollata nel 721 a.C.).
-
La Samaritana, nel racconto che ne fa Matteo, emerge in un’atmosfera luminosa;
infatti la scena si svolge nel mezzogiorno, come quando Gesù fu messo in croce;
ed è pieno di suggestioni il fatto che l’incontro con Gesù avvenga vicino ad un
pozzo, l’unico della Samaria, ricco di molti richiami biblici.
ANALISI di Gv4, 5-42
L’evangelista
costruisce questo episodio tenendo presente la storia del profeta Osea, il
primo che ha raffigurato il rapporto tra Dio e il suo popolo paragonabile a
quello tra uno sposo e una sposa. La sua vicenda personale di matrimonio
infelice per il tradimento della moglie, serve per comprendere il brano della
Samaritana, dove l’evangelista presenta lo sposo (Gesù) che va in cerca
dell’adultera (Samaritana) e la riconquista con un dono d’amore.
5 Gesù] giunse così a una città della Samarìa chiamata Sicar,
vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio:
Gesù sta attraversando una terra carica di
storia che si rifà alle origini di Israele, prima della divisione tra Giudei e
Samaritani, quando i due popoli erano uniti dalle stesse origini. La città di Samaria
di cui si parla è probabilmente l'attuale Askar, ai piedi dell'Ebal; aveva
preso il posto di Sichem, distrutta nel 128 e nel 107 a.C. e ricostruita dopo
il 72 d.C. con il nome di Flavia Neapolis, oggi Nablus. Sicar è probabilmente
l’antica Sichem (Gn 33,18-20), città esistente al tempo di Giacobbe.
Negli anni di siccità, quando non era
possibile la mietitura a Gerusalemme o in Giudea, e non si potevano presentare
le primizie per celebrare le feste degli Azzimi e della Pentecoste, si poteva
andare a raccoglierle nell’odiata Samaria, proprio a Sicar. Giacobbe-Israel è
il patriarca che ha dato il nome al popolo e alla sua terra, padre di Giuseppe,
il tradito dai fratelli che cercano di dargli la morte e che poi sarà la loro
salvezza.
L’allusione dell’evangelista è evidente:
Gerusalemme e la Giudea non producono frutto (spirituale), mentre nell’eretica
Samaria il raccolto è più che abbondante.
6 qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il
viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno.
In una regione in cui
l'acqua è scarsa, i punti in cui essa sgorga diventano luoghi privilegiati di
incontro, di conflitti e riconciliazioni, di antichi ricordi e leggende.
Ambientando l’episodio
vicino a un pozzo, Matteo usa un tema letterario biblico patriarcale: Mosé
aveva incontrato vicino ad un pozzo le figlie di Reuel (una di loro sarebbe poi
divenuta sua sposa); le nozze di Isacco e di Giacobbe erano state combinate
accanto a un pozzo. Anche dal punto di vista della teologia ebraica il pozzo
assume grande rilievo. Vi è una tradizione giudaica, ripresa da Paolo, in cui
la fonte d'acqua donata da Dio addirittura seguiva il popolo di Israele nel deserto.
La strana espressione adoperata
dall’evangelista, sedeva presso il pozzo (traducibile con il termine
sorgente), vuole indicare che
Gesù stava lì in maniera permanente; quindi la frase ha il significato
teologico che Gesù sarà la nuova sorgente, la quale sostituirà quella di
Giacobbe.
Il mezzogiorno, o ora sesta, sarà
quella della condanna a morte di Gesù, sicché l’incontro di Gesù con la
Samaritana ne è prefigurazione.
7 Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: Dammi
da bere.
Alcune
puntualizzazioni: il mezzogiorno non era l’orario più indicato per andare ad
attingere al pozzo (ci si recava all’alba e al tramonto); nella letteratura
biblica l’incontro di un uomo e una donna presso un pozzo preludeva al
fidanzamento e al matrimonio, come risulta dai racconti biblici circa Rebecca e
Isacco, Rachele e Giacobbe, Mosè e Zippora; i maschi si ritenevano
superiori alle femmine e mai un uomo si sarebbe abbassato a chiedere qualcosa a
una donna, e i Giudei disprezzavano soprattutto le donne samaritane, che
consideravano immonde fin dalla nascita.
Questa
donna, col suo anonimato, è figura rappresentativa del suo popolo, i
samaritani, i quali hanno sete di vivere la loro storia di Alleanza con YHWH e
perciò vengono al pozzo del loro padre Giacobbe. Anche la donna samaritana va a
dissetarsi al pozzo di Giacobbe, cioè nell’antica tradizione del suo popolo.
Gesù, chiedendo da bere, manifesta di aver sete come chiunque voglia vivere;
però le sue parole, le stesse che troviamo in Esodo, alludono (per Matteo) al
nuovo Israele che sperimenta la sete della parola di Dio.
8 I suoi
discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi.
Questo inciso sottolinea il
fatto che Gesù è da solo. L’esclusione dei discepoli serve all’evangelista per
richiamare l’incontro, in solitudine, dello sposo con la moglie adultera, di
cui parla Osea.
9 Allora la donna samaritana gli dice: “Come mai tu, che sei
giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?”. I Giudei infatti
non hanno rapporti con i Samaritani.
Gesù si rivolge alla
samaritana su un piano di parità. Ciò desta la sua sorpresa. Gesù infatti, come
spiega lo stesso Giovanni, rivolgendole la parola, infrange una delle regole
essenziali vigenti tra questi due popoli.
11 Gli dice la donna: “Signore, non hai un secchio e il pozzo è
profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva?
12 Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede
il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?”.
La
donna comprende che in questo uomo c’è qualcosa che supera le divisioni e i
litigi tra i due popoli. La sua reazione parte dall'ultimo elemento nel v.11 l'acqua viva,
per poi risalire all'identità di Gesù. Il da
dove ha un significato molto importante nel vangelo di Giovanni, perché
richiama il suo costato trafitto, ìda dove’ scaturì sangue ed acqua.
13 Gesù le risponde: Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo
sete;
14 ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete
in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua
che zampilla per la vita eterna.
Gesù
non risponde direttamente alla donna, bensì decanta le qualità della sua acqua;
parla dell'avere ancora sete e del non avere più sete, per indicare che, se
quest'acqua toglierà per sempre la sete, allora è un’acqua carica di eternità.
15 “Signore – gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io
non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua”.
In
poche battute Gesù ha provocato una inversione. Ora è la donna che ha sete e
non lui. Forse la domanda della samaritana è ancora legata alla sua esperienza
materiale, l'acqua quotidiana, però la sua richiesta nasce da un bisogno più
profondo.
16 Le dice: Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui.
17 Gli risponde la donna: “Io non ho marito”. Le dice Gesù: Hai
detto bene: “Io non ho marito”.
18 Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è
tuo marito; in questo hai detto il vero.
Questa
digressione sul passato della donna sembra alquanto fuori luogo. Inoltre vi
sono delle incongruenze: secondo la legge si potevano contrarre al massimo tre
matrimoni. Forse in questo dialogo prevale il senso allegorico: i cinque mariti
potrebbero essere i cinque déi introdotti in Samaria dopo la conquista assira
del 721, quindi non sarebbe fuori luogo il fatto che il discorso continui
parlando di luoghi di culto. La samaritana con i suoi cinque mariti, e il sesto
che non è suo marito, sarebbe l'allegoria della Samaria che viene esortata da
Gesù a chiamare JHWH come suo vero marito, come suo vero Dio.
19 Gli replica la donna: “Signore, vedo che tu sei un profeta!
20 I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite
che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare”.
La donna vedendo che Gesù ha
delle capacità superiori alla norma, gli sottopone un problema che stava a
cuore a lei come a tutto il suo popolo. I Samaritani avevano continuato ad
adorare il Signore sul monte Garizim, a tre km da Sichem, poiché in quel luogo
il Signore aveva benedetto Israele, e in quel luogo era avvenuta la visione di
Giacobbe; essi avevano continuato a venerare il Signore in questo luogo anche
dopo l'unificazione del culto a Gerusalemme.
21 Gesù le dice: Credimi, donna, viene l’ora in cui né su
questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre.
22 Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che
conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei.
Nel
Vangelo di Giovanni sono tre i personaggi femminili ai quali Gesù si rivolge
con l’appellativo donna, che ha il significato di moglie. E sono le tre donne
che rappresentano le spose del Dio: Maria madre di Gesù, la samaritana e Maria
di Magdala.
Gesù annuncia alla donna un
cambio radicale: è terminata l’epoca dei templi, non ci sarà più un luogo
privilegiato per rendere culto a Dio. Anche il tempio di Gerusalemme si è
prostituito e Gesù ne ha annunciato la fine; e ora Gesù anziché usare il
termine Dio, usa quello di Padre. Per questo, mentre il culto a Dio ha
bisogno di un luogo particolare, quello al Padre no. Questo
nuovo nome riflette la relazione che Dio stabilisce con gli esseri umani: un
legame intimo e personale come tra un padre e i suoi figli. Per questo non ci
sarà più un luogo particolare in cui si adorerà Dio.
23 Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori
adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano
quelli che lo adorano.
24 Dio è Spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in
spirito e verità.
-
viene l’ora, adesso, con la
presenza di Gesù; è giunta l'ora di adorare il Padre da veri adoratori. E qui
non ci si ferma più a un popolo in particolare, ma a tutti coloro che sapranno
adorare Dio nella dimensione di Padre. In
Spirito e verità significa alla presenza dello Spirito, Fonte di
quel dinamismo di vita e amore che si è manifestato nella creazione.
25 Gli rispose la donna: “So che deve venire il Messia chiamato
Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa.
Lo
stesso verbo dell'ora che deve venire,
erkhetai, viene usato per il Messia che deve venire: l’atteso dai giudei,
che avrebbe rivelato i più grandi segreti divini.
Il
termine messia era già apparso in bocca ad Andrea, uno dei primi discepoli.
L’evangelista per la seconda volta chiarisce il significato del termine ebraico
messia = unto, Cristo.
26 Le dice Gesù: Sono io, che parlo con te.
Gesù
si manifesta apertamente. A nessuno mai si è rivelato in questo modo, se non
alla samaritana. Quando Mosè aveva chiesto a Dio: “Chi sei? Dimmi il tuo nome”,
Dio non aveva risposto non indicando un nome, perché il nome delimita
un’identità, ma indicando un’attività che lo rende riconoscibile: io sono
colui che è: l’espressione non è da considerare dal punto di vista
metafisico, piuttosto conferma la sua presenza fedele ed efficace nella storia.
27 In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano
che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: ‘Che cosa cerchi?’, o: ‘Di
che cosa parli con lei?’.
Arrivano
i discepoli e si interrompe l’incanto del dialogo. I discepoli rimangono
stupiti che Gesù stia a discorrere con una donna. La loro reazione conferma
ulteriormente la non comprensione di ciò che Gesù intende fare attraversando la
Samaria.
28 La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse
alla gente:
La donna lasciò la
brocca che le serviva per attingere l'acqua dal pozzo perché aveva trovato
l'acqua viva di cui Gesù le aveva parlato.
La brocca, o giara, raffigura la
dipendenza che la Legge, ma allo stesso tempo raffigura l’incapacità di soddisfare
pienamente i bisogni umani senza Dio; infatti l’acqua del pozzo non spegne la
sete poiché bisogna attingerla continuamente. Abbandonare la giara significa
rompere con un sistema di norme e precetti che impedisce il rapporto interiore
con Dio.
29 “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho
fatto. Che sia lui il Cristo?”.
La
samaritana dice ai suoi compaesani che quell'uomo conosceva tutto il suo
passato, come indice della conoscenza eccezionale che Gesù aveva delle cose.
Non dice apertamente che si tratta del Messia, ma lo insinua velatamente.
Saranno i suoi compaesani a fare l'esperienza diretta di Gesù e della verità
della sua parola.
30 Uscirono dalla città e andavano da lui.
I samaritani credettero
alla parola della donna e andavano incontro a Gesù.
La
fede nasce dall’incontro con Gesù ma si presenta come un cammino, quindi
è un uscire dal proprio
passato di incertezze e un andare verso
la realtà nuova dove trovare pienezza di vita.
31 Intanto i discepoli lo pregavano: “Rabbi, mangia”.
32 Ma egli rispose loro: Io ho da mangiare un cibo che voi non
conoscete.
33 E i discepoli si domandavano l’un l’altro: “Qualcuno gli ha
forse portato da mangiare?”
34 Gesù disse loro: Il mio cibo è fare la volontà di colui che
mi ha mandato e compiere la sua opera.
Nessun testo giovanneo
esprime in modo così pregnante l'atteggiamento di Gesù nell'esercizio della sua
missione: Gesù ha per nutrimento la sua unione con il Padre; il suo cibo è un
altro. Fare la volontà del Padre non significa solo
accettarla fiduciosamente, significa cooperare alla sua realizzazione. Lo dirà
anche alla vigilia della sua morte (Gv 17,4).
35 Voi non dite forse ‘ancora
quattro mesi e poi viene la mietitura’? Ecco,
io vi dico: Alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per
la mietitura.
In
questa seconda parte del discorso Gesù vuol coinvolgere i discepoli nella
missione stessa del Padre e fatta sua: anche loro sono chiamati ad essere
missionari, i campi sono pronti per essere mietuti.
36 Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita
eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete.
Il mietitore riceve,
riunifica, raduna il frutto: questa espressione sottintende la riunificazione
tra il giudeo Gesù e i samaritani, la riunificazione con i lontani.
37 In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina
e l’altro miete.
38 Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato;
altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica.
Il seminatore e il mietitore
che prima coincidevano ora diventano due personaggi differenti. Vi sarà un
tempo in cui i discepoli raccoglieranno la messe seminata e coltivata con
fatica da altri: Gesù e chi è venuto prima di lui (i profeti). Anche i
discepoli saranno mandati a seminare la parola di Dio, ma questa non viene da
loro, bensì dal Seminatore
39 Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la
parola della donna, che testimoniava: “Mi ha detto tutto quello che ho fatto”.
Questo
versetto si riaggancia a quello in cui avevamo lasciato la samaritana tornata
al villaggio e introduce l'incontro di Gesù con i samaritani. Il verbo
utilizzato è forte: la samaritana testimoniava,
come Giovanni il Battista. La donna ha una funzione essenziale.
40 E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere
da loro ed egli rimase là due giorni.
I Samaritani superano i pregiudizi religiosi
della propria tradizione, vanno da Gesù e lo pregano di rimanere con loro.
Hanno trovato in Gesù colui che è stato capace di superare l’inimicizia tra i
due popoli.
Alla richiesta di rimanere, Gesù si ferma due
giorni con loro, come lo Spirito rimase su Gesù (Gv 1,32), e come i
primi due discepoli. È evidente l’allusione dell’evangelista al profeta Osea.
41 Molti di più credettero per la sua parola.
42 e alla donna dicevano: “Non è più per i tuoi discorsi
che crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è
veramente il salvatore del mondo”.
La donna ha ipotizzato il
Messia in Gesù, e i samaritani vanno da lui perché pensano di trovare coli che
attendevano.
L’espressione
il salvatore del mondo è in parallelo
con la dichiarazione del Battista riguardo a Gesù: colui che toglie il
peccato del mondo; entrambe le espressioni richiamano l’amore universale
del Padre.
DUE COMMENTI
Un bel commento di E. Ronchi:
Quest'acqua viva è l'energia dell'amore di Dio. Se lo accogli,
diventa qualcosa che ti riempie, tracima, si sprigiona da te, come una sorgente
che zampilla "per la vita", che fa maturare la vita, la rende
autentica e indistruttibile, eterna. In te, ma non per te: la sorgente è più di
ciò che serve alla tua sete, è per tutti, senza misura, senza calcolo, senza
fine. Vai a chiamare colui che ami. Quando parla con le donne, va diritto al
centro, al pozzo del cuore. Solo fra le donne Gesù non ha avuto nemici, il suo
è il loro stesso linguaggio, quello dei sentimenti, del desiderio, della
ricerca di ragioni forti per vivere. ‘Non ho marito’. E
Gesù: hai detto bene, erano cinque. Ma non istruisce
processi, non cerca indizi di colpevolezza, cerca indizi d'amore; non le chiede
di mettersi prima in regola, le affida un dono; si fida e non pretende di
decidere per lei il futuro. Messia di suprema delicatezza, volto bellissimo di
Dio. Che cosa si vede da quel luogo, dal pozzo di Sicar? Il monte Garizim, con
il tempio dei samaritani; e attorno cinque alture su cui i coloni stranieri,
che hanno ripopolato Samaria, hanno eretto cinque templi ai loro dei. Il popolo
è andato dietro a cinque idoli, come la donna a cinque uomini. Storia, simbolo,
popolo, persona, tutto si intreccia per convergere all'essenziale: lo Sposo
cerca la sposa perduta. La donna percepisce l'offerta di questa energia
d'amore, ne è contagiata, corre in città, ferma tutti per strada: c'è uno che
dice tutto di te! Lui conosce il tutto dell'uomo: c'è in ognuno una sorgente di
bene, un lago di luce, più forte del male, fontane di futuro. Gesù: lo ascolti
e nascono fontane. In te, per gli altri.
Un commento personale:
Dammi da bere: Queste parole sono la preghiera costante
che formula il mio cuore, tanto che questi ultimi giorni, appena compiuta la
stesura, di questo post, mi è sembrato di avere avuto un abbaglio: avevo
dimenticato che è stato Gesù per primo a fare tale richiesta.
Tento
di dare un senso all’abbaglio preso: non siamo mai noi ad invocare per primi
l’acqua che possa dissetare il nostro cuore. E lo Spirito ad invocare in noi.
Sento che a me non resta che far miei pochi spezzoni del salmo proposto oggi
dalla liturgia:
… È lui il nostro Dio / e noi il popolo del suo pascolo, / il
gregge che egli conduce. / Se ascoltaste oggi la sua voce! / “Non
indurite il cuore”.
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