DOMENICA XXVII T.O. anno A –
I v i g n a i o l i o m i c i d i
In quel
tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 33 Ascoltate
un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una
vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì
una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 34 Quando arrivò il tempo di
raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. 35 Ma i contadini presero i servi e uno
lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. 36 Mandò di nuovo altri servi, più
numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. 37 Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto per mio figlio!. 38 Ma i contadini, visto il figlio,
dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua
eredità!”. 39 Lo presero, lo
cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. 40 Quando verrà dunque il
padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?. 41 Gli risposero: Quei
malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri
contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo. 42 E Gesù disse loro: Non
avete mai letto nelle Scritture: / La pietra che i costruttori hanno
scartato / è diventata la pietra d’angolo; / questo è stato fatto dal Signore / ed è una
meraviglia ai nostri occhi? 43 Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno
di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti.
C o m m e n
t o
1) LA VIGNA, I VIGNAIOLI, ISRAELE,
LA CHIESA
La Liturgia
odierna è dominata dall'immagine della vigna, di per sé è riposante, ma che è
attraversata dalla drammaticità del racconto; e dall’immagine del padrone,,simbolo
di Dio, che profonde ogni premura su di essa perché porti abbondanza di frutti
gustosi, da cui estrarre il vino, simbolo di gioia, di festosità, di ebbrezza e
anche di amore.
Al
di là del confronto puramente materiale, l'analogia
diventa più significativa se viene trasferita sul piano dell'allusività simbolico-storica: forse siamo al tempo
della devastazione del regno del Nord da parte degli Assiri nel 721; o al tempo
del saccheggio di Gerusalemme nel 586.
E’
certo che la situazione economica della Galilea di duemila anni fa era grave.
Il terreno coltivabile era in gran parte nelle mani di grandi proprietari
stranieri, che molto spesso avevano la loro residenza all’estero. Le vigne
venivano date a mezzadria; e, poiché i padroni abitavano all’estero, si rendeva
necessario l’invio di servi-esattori per la riscossione dell’affitto pattuito.
Il
padrone di cui tratta la pericope non parla mai direttamente con i lavoratori,
ma dimostra di essere esigente, e poi, quando si avvede dell’infedeltà del Suo
popolo, appare quale giudice severo che abbandona il suo popolo alla collera
dei nemici. Cosa, questa, che sorprende se non si conosce il significato del
racconto.
Ascoltiamo
anzitutto un tratto della prima lettura, nella quale Isaia si
esprime poeticamente col suo canto della
vigna:
Is 5,1-2
Canterò per il mio diletto
il mio cantico d'amore per la sua vigna.
Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle.
Egli l'aveva vangata e sgombrata dai sassi
e vi aveva piantato scelte viti;
vi aveva costruito in mezzo una torre e scavato anche un tino.
Egli aspettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica.
Quando
il proprietario non trova nella sua vigna che uva selvatica, la sua collera esplode.
Nei
seguenti versetti (che non sono in questa pericope) il Profeta denuncia l'ingiustizia
sociale, la sopraffazione e la violenza: ecco cos’è l'uva selvatica che la vigna ha prodotto per YHWH, a favore del suo
popolo!
[YHWH era (ed è)
considerato impronunciabile dagli Ebrei, perché è composto soltanto di
consonanti; e, sulla base di antiche traslitterazioni la pronuncia più
probabile è Yahwèh; nome sostituito in seguito con il generico Adonày.
L’antica traduzione greca dei Settanta aveva reso quel nome sacro con
Kyrios, Signore. La parola ‘Dio’,
invece, proviene dal greco Zeus].
L'amore
più tenero e più disinteressato è stato dunque tradito: Israele non ha saputo
esprimere la fedeltà al suo Dio amando i fratelli; ed essi stessi
riconosceranno che il giudizio duro di Dio è giusto, anche se di condanna.
=
Questo
contenuto che risale all’AT, lo ritroviamo riprodotto nel Vangelo, nella “parabola
dei vignaioli omicidi”, che è comune nei tre Sinottici, ma che Matteo presenta
con alcune varianti redazionali di notevole interesse per la tematica
ecclesiologica. Egli descrive, attraverso la parabola, alcune tappe della
storia della salvezza particolarmente drammatiche: i servi, che i vignaioli
successivamente espleteranno un vero e proprio massacro, rappresentano coloro
che mai hanno ascoltato i Profeti, mandati più volte da Dio ad ammonire Israele.
Tra non molto anche Gesù, rivolgendosi alla Città santa, dirà accoratamente: Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i
profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere
i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non
avete voluto (Mt 23,37).
Nell'ultima
tappa dei tentativi fatti, il ‘padrone’, cede all’amore per la vigna e manda il
figlio, l’unico che ha diritto all’eredità, a risolvere la situazione. E’ il
punto più drammatico, culminante, del racconto, da considerare analogia della storia
della salvezza. Quando il padrone tenta l’estremo salvataggio dell’invio del
figlio, i vignaioli, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero (v.39).
Una
nota è interessante. L’analogia ‘calza bene’. Il progetto e anche l'azione omicida
dei vignaioli contro il figlio del padrone non erano del tutto gratuiti o
completamente folli: sembra infatti che, secondo le disposizioni di legge
allora vigenti sulla eredità, un podere, alla morte del proprietario che non
avesse eredi, sarebbe passato nelle mani del primo occupante.
Però
la storia non poteva fermarsi qui.
Che
cosa poteva fare il padrone della vigna davanti a tanta durezza di cuore dei
suoi vignaioli? È ciò che Gesù domanda al termine della parabola, provocando i
suoi ascoltatori ad una risposta che li coinvolgesse nel dramma. Ed essi
rispondono con sincerità, pensando però che il dramma non riguardasse loro: Farà
morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli
consegneranno i frutti a suo tempo (v. 41).
In
rapporto al canto della vigna di
Isaia, qui c'è una novità: nel Profeta leggiamo che YHWH distrusse la sua
vigna; qui Gesù invece dichiara che solo
i vignaioli saranno puniti, mentre la vigna sarà data ad altri che la faranno
fruttare al tempo giusto (v.40). La storia
della salvezza, infatti, non può finire in uno scacco di Dio.
La
rivalsa [termine che può
andare bene per la parabola, non per la realtà corrispondente] di Cristo che
agisce in nome di Dio è espressa con le parole che seguono immediatamente: Non avete mai letto nella Scrittura:
la pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo; dal
Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri? (v.
42).
GESU’ PIETRA ANGOLARE (largo uso dell’espressione dall’Antico al Nuovo testamento)
Dobbiamo
ripartire da Isaia.
In
un passo della scrittura (Is 28,16),
dice: io pongo in Sion una pietra
d’angolo, scelta, preziosa, e chi crede in essa non resterà deluso; ed
aggiunge: onore dunque a voi che
credete, ma per quelli che non credono, la pietra che i costruttori hanno
scartato, è diventata sasso di inciampo e pietra di scandalo (Is.8,14).
Nella
pericope odierna la riflessione sulla PIETRA SCARTATA riguarda ciò che
impropriamente è chiamata la rivincita del Cristo (temine che non si addice a
Colui che si è proposto in veste umile).
Nell’interpretazione
collettiva la pietra era l’Israele che, rigettato e scartato da Signore con
l’esilio, viene poi riabilitato, realizzando una missione universale in mezzo a
tutti i popoli. Nell’interpretazione storica si può alludere anche alla
ricostruzione di Gerusalemme.
Pietro in Atti, 4,11-12 applica questa immagine a Gesù, con l’aggiunta “in nessun altro c’è salvezza.
Non vi è infatti altro nome dato agli uomini, nel quale dobbiamo essere
salvati”.
Lo stesso,
dopo aver citato Isaia, parla dei nuovi battezzati, che, come bambini appena
nati, devono nutrirsi del latte genuino e spirituale, cioè della parola di Dio.
Essi si sono avvicinati a Cristo, “pietra viva, rifiutata dagli uomini, ma scelta
e preziosa davanti a Dio”, e perciò sono costruiti “come edificio
spirituale (la Chiesa), per un sacerdozio santo, e per offrire spirituali a Dio
mediante Gesù Cristo”.
E, citando
Isaia che dice (Is 28,16) “ecco io
pongo in Sion una pietra d’angolo, scelta, preziosa, e chi crede in essa non
resterà deluso”, aggiunge: “onore dunque a voi che credete, ma per quelli
che non credono, la pietra che i costruttori hanno scartato, è diventata (Sal.118,22) “sasso di inciampo e pietra di
scandalo” (Is.8,14).
Anche Paolo in Efesini, Ef 2,19-20 usa l’immagine della pietra angolare (Sal.118,22) in chiave ecclesiologica. Egli
ricorda ai cristiani di Efeso che un tempo erano lontani, e ora sono diventati
vicini grazie al sangue di Cristo (Ef,2,13): “ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete
diventati vicini, grazie al sangue di Cristo” e conclude: “Così dunque voi non
siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di
Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come
pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù”.
TERMINIAMO CON LA SECONDA LETTURA
PAOLO
scrive così agli Efesini: Fil 4, 6-9
Fratelli,
non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le
vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace di Dio,
che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in
Cristo Gesù. In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile,
quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è
onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri
pensieri. Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me,
mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà con voi!
La
cosa più significativa di questo brano è che Paolo esorta i cristiani a
compiere tutto quello che è "naturalmente" onesto, giusto, nobile.
Il
cristianesimo, infatti, non deve allontanare dall'impegno di attuare, insieme a
tanti altri, i valori e le istanze più comuni della vita e della convivenza
umana: però il credente trae la sua ispirazione di fondo, per valutare
"tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile", ecc. (v.
8), dagli
insegnamenti e soprattutto dall'esempio di Cristo e [detto senza falsa modestia] di lui stesso
(v. 9). Inoltre,
attinge la sua forza per fare tutto questo dalla preghiera (vv.
6-7).
L'ideale
operativo del cristiano, perciò, è tutt'altro che un ideale storico, o
meramente umanistico, o prassistico; anche se è sempre giusto partire da ciò
che è umano.
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