II DOMENICA di AVVENTO anno A
Mt3,1-12
1In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel
deserto della Giudea 2dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei
cieli è vicino!». 3Egli infatti è colui del quale aveva parlato il
profeta Isaia quando disse: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate
la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! 4E
lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle
attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. 5Allora
Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a
lui 6e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando
i loro peccati. 7Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo
battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter
sfuggire all’ira imminente? 8Fate dunque un frutto degno della
conversione, 9e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo
Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare
figli ad Abramo. 10Già la scure è posta alla radice degli alberi;
perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. 11Io
vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più
forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in
Spirito Santo e fuoco. 12Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e
raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco
inestinguibile».
Commento
Matteo e alcuni dati biografici
- Poiché lungo il nuovo anno
liturgico leggeremo il vangelo di Matteo, è bene fornire elementi essenziali
per una comprensione meno approssimativa del testo che la liturgia propone ogni
domenica.
- Sappiamo che i vangeli, pur
narrando eventi storici, non sono libri storici: questi assumono una
colorazione particolare a seconda della diversa penna del loro autore, ciascuno
con una sua formazione, una sua
sensibilità, un suo progetto. E allora è legittimo chiederci chi sia
Matteo.
Il suo nome semitico era Levi. Normalmente lo conosciamo con con
l’altro nome, Matteo, che deriva dall’ebraico Matithya e significa dono di Dio.
- C’è un un fatto che è ricordato
da tutti gli evangelisti: la sua ‘chiamata’ a Cafarnao, mentre era al tavolo
delle imposte. Cafarnao era un centro dal quale passava una strada che
attraversava la Palestina e sfociava in Siria. Su di essa Matteo era seduto per
espletare la sua odiata funzione di esattore. Poi l’incontro con Gesù gli
cambiò la vita.
- Gli studiosi affermano che
il vangelo che vanta il suo nome (anche se altre mani hanno scritto per lui o
almeno sulla sua parola) fu redatto dopo il 70, data della distruzione di
Gerusalemme.
- Matteo, pur restando con
tutto il peso della tradizione ebraica, è convinto seguace di Cristo e offre un
suo ritratto del tutto diverso da quello degli altri sinottici: è un Cristo
solenne, la cui parola è decisiva ed efficace.
- Oltre a questi dati
strettamente biografici, ci resta di individuare la sua fisionomia morale e
spirituale all’interno delle sue pagine.
Matteo e l’ekklesìa (brevi
appunti)
- Tante volte abbiamo sentito
dire che c’è qualcosa di completamente nuovo con l’Avvento di Cristo: inizia
una nuova era, tanto che le date segnalano un a.C. e un d.C.
- E’ di estremo interesse il
fatto che Matteo trovasse una perfetta continuità tra l’Antico e il Nuovo
Testamento. Per lui già nell’Antico esisteva una chiesa che rappresentava il
vero Israele dei profeti, ed ora continuava col cristianesimo. Ne deriva
che egli non vede alcuno stacco tra Antico e Nuovo, e che il suo vangelo è intriso
di giudaismo e di semitismo.
- Seguendo la tradizione
ebraica antica, egli non osa usare la parola JHWH per disegnare l’azione di Dio
nella storia; e perciò ricorre ad un modo eufemistico di nominare il regno di Dio
sulla terra: regno dei cieli.
Gesù non è soltanto qualcuno che si attende e che ritornerà alla fine del
mondo; è il vivente presente in mezzo ai suoi; li guida e li cementa nella
comunione di amore col Padre che è nei cieli.
- Ormai le varie comunità
sbocciate e maturate attorno al kerigma (il
messaggio orale) formavano l’ekklesìa
(termine che usa lui solo tra gli evangelisti), costituita di giudeo-cristiani,
cioè di giudei che conoscevano bene l’Antico Testamento e che poi erano
divenuti cristiani; ed è per catechizzarli che Matteo scrive il suo vangelo.
- Il Gesù di Matteo non solo
non annulla il legame storico-salvifico con Israele; piuttosto lo porta a
compimento. La sua presenza nella chiesa la rende partecipe della sua relazione
filiale col Padre. La perfezione non sta nell’osservanza di un codice di leggi,
ma nel vivere come figli del Padre, i quali si ispirano al suo (del Padre)
amore universale.
- C’è un termine che Matteo
martella con insistenza: mathetes,
discepolo. Ed è sintomatico il fatto che lui ponga i discepoli attorno a Gesù,
mentre Luca mette in rilievo la presenza delle folle.
- La figura del discepolo
caratterizza non solo l’apostolo, ma anche il cristiano. Ciò che conta nel credente in Cristo è la testimonianza, la
missionarietà, la donazione totale, la comunità con i fratelli e le sorelle. [Mi si perdoni
questa parentesi. C’è da tirare fuori un sospiro di sollievo a
pensare che negli scritti di Matteo e degli altri evangelisti non non ci sono,
come oggi, cristiani qualificati con titoli onorifici, denotanti le cariche
ricoperte… e tutti rigorosamente di
genere maschile!)].
- Altra nota: il Nostro
utilizza il vangelo di Marco ampiamente; e ciò significa che è quest’ultimo a scrivere
il primo vangelo, anche se nella sistemazione canonica dei quattro, risultò Matteo
come primo evangelista.
Il brano di oggi per sommi capi
- Il brano di oggi
ci distoglie dal clima natalizio che impera nella nostra cultura, non più
cristiana. Per attendere i passi che ci riportano alla nascita di Gesù,
dobbiamo attendere ancora; e ricordiamo che è l’evangelista soltanto Luca ad
avere avuto maggiore attenzione alla nascita e ai primi anni della vita di
Gesù.
- Nelle prime
domeniche di Avvento è protagonista il precursore, Giovanni Battista, l’austero
asceta, forse appartenente a qualche comunità monastica di Esseni,
organizzati fuori dal contesto sociale. Interessanti sono i motivi, le immagini
con cui la figura del Battista viene interpretata da Matteo, come la cintura di
cuoio legata intorno ai fianchi, che era un segno di riconoscimento del profeta
Elia, e il mantello intessuto di peli di cammello, che era l'indumento tipico
del profeta secondo Zaccaria.
- La collocazione della sua predicazione nel deserto della
Giudea differisce da quella di Gesù che svolse la sua missione nella Galilea.
- L'attività di Giovanni è completamente orientata e
subordinata verso colui che viene. Il suo
messaggio consiste in un preciso imperativo, convertitevi,
e in un motivo altrettanto chiaro: perché il regno
dei cieli è vicino.
- Isaia nella prima lettura ci parla di un germoglio che
nascerà dalla radice di Iesse, di un virgulto che permetterà al lupo di
dimorare con l’agnello, al leopardo di sdraiarsi accanto al capretto, al
lattante di giocare sulla buca della vipera: un germoglio, un principio,
qualcosa di estremamente fragile, debole, in balia di tutto e di tutti.
- Ed è questa la strada da preparare: quella di chi lascia
al Signore di venire nella forma del seme, del germoglio, del bambino, nella
forma della nostra umanità.
- Nel v.8 vengono indicati i frutti della conversione,
che esprimono un nuovo orientamento da dare alla propria esistenza. Tale
indicazione, per un verso si colloca nella linea dei profeti che facevano
consistere la concretezza della conversione nel distacco radicale da tutto ciò
che finora aveva un valore; dall'altro, va oltre e intende mostrare che la
conversione è un volgersi verso il regno dei cieli,
verso una novità che si presenta imminente con le sue esigenze e prospettive.
Il battesimo di Giovanni non è importante perché numerose
sono le folle che si recano per riceverlo, ma ha valore perché è accompagnato
da precisi impegni di conversione, anche se esso (il battesimo) non ha il
potere di cancellare i peccati.
- Anche i farisei e i sadducei si recano per riceverlo, ma
vi si accostano con animo ipocrita. Essi pongono la loro fiducia e speranza nella
discendenza da Abramo, in quanto appartenenti al popolo eletto. Giovanni si
serve dell'immagine dell'albero che viene tagliato, immagine che nell'AT
rimanda al giudizio di Dio. Un testo di Isaia così lo descrive: «Ecco il
Signore, Dio degli eserciti, che strappa i rami con frastuono, le punte più
alte sono troncate, le cime sono abbattute». Invece l'immagine del fuoco ha la
funzione di esprimere l'ira imminente che si
manifesterà con il giudizio di Dio.
- L'invettiva di Giovanni verso questi gruppi impastati di
falsa religiosità, sottolinea che la funzione del suo battesimo, accolto con
sincera decisione di cambiare vita, protegge chi lo riceve per via del giudizio
purificatore di Dio.
- Infine la predicazione di Giovanni pone un confronto tra i
due battesimi, le due persone: quella di Giovanni e quella di Colui che deve
venire. La differenza sostanziale è che Gesù battezza con spirito e fuoco
mentre Giovanni solo con acqua. Tale distinzione sottolinea che il battesimo di
Giovanni è completamente subordinato a quello di Gesù.
- Il finale della predicazione di Giovanni parla del
giudizio che incombe su chi non si converte con l'immagine della pula. La
stessa azione che il contadino compie sull'aia quando pulisce il grano dalla
pula, sarà attuata da Dio nel giudizio sulla comunità.
Le parole dure e violente di
Giovanni contro i farisei ed i sadducei possono suscitare in chi legge
sensazioni spiacevoli perché assumono i caratteri di una imposizione assoluta, anziché
essere la semplice richiesta
(rispettosa della libertà umana) di un radicale mutamento della scala dei
valori.
Giovanni sembra un profeta dell’Antica Alleanza. Ha i tratti
e il vestito del profeta Elia, e, come lui, chiama con toni duri il popolo alla
conversione. Le folle lo ascoltano. Ma sappiamo che il correre dietro a persone
carismatiche tocca la superficie, non il profondo del cuore.
Ciò che converte il freddo in calore è la vicinanza del fuoco.
La forza che cambia le persone è il calore dello Spirito, forza non umana, immane,
divina. A noi spetta avvicinarci e attingerla per portare buoni frutti.
G. Ravasi sottolinea che il rigore ascetico e il
durissimo richiamo di Giovanni è un appello forte
al fine di far sorgere dalle ceneri di una religione incolore, inodore e
insapore, una fede operosa e impegnata.
Scrive Alda Merini: la fede è una mano / che ti prende le
viscere / la fede è una mano / che ti fa partorire. / Partorire un frutto buono.
E G. Baudry: Alla fiamma
tremula / d’una lampada d’ebano / gravata dalla notte / ronzante di astri /
l’anima
diviene / ciò che ascolta. / Solo l’attesa / illumina. / La mia parte / è vegliare.
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