DOMENICA XVI T.O. annoC
Lc 10, 38-42
38 In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in
un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. 39 Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi
del Signore, ascoltava la sua parola. 40
Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse:
«Signore, non t'importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire?
Dille dunque che mi aiuti». 41 Ma il
Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, 42 ma di una cosa sola c'è bisogno.
Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
Commento
Chi vive la vita cristiana sa di dover esprimere la fede sul
doppio binario della preghiera e della messa in pratica che ne scaturisce; detto in
termini vetero-testamentari, dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo.
L'interpretazione tradizionale della pericope di oggi, a
partire dai Padri della Chiesa, ha sempre posto l'accento sul contrasto tra
vita attiva e vita contemplativa, rappresentate da Marta e Maria; contrasto che
si è sempre risolto con l’attribuzione della superiorità della vita
contemplativa sulla vita attiva.
= Da una lettura attenta del testo risulta che il
problema si pone al di là di questa semplicistica contrapposizione; si tratta
di una questione più radicale che cercheremo di delucidare
= A partire dai primi anni di vita, la fede si sviluppa
gradualmente nella vita familiare, nel contesto parrocchiale, in altri luoghi
formativi, come ad esempio nella scuola affidata a religiosi o a laici
esemplari e preparati. E, guardando all’oggi, ci sarebbe molto da dire sulla
preparazione inadeguata delle persone, causata, a sua volta, dalle
inadeguatezze dei loro maestri. Per giunta la formazione dei cristiani, col
passare degli anni, spesso si riduce al solo ascolto dell’omelia del celebrante,
la quale, anche nella bocca di eloquenti espositori, è il condensato di un’esegesi
approssimativa, figlia di una teologia povera di sviluppi.
= Torniamo alla
pericope odierna.
L’interpretazione
della frase “Maria ha
scelto la parte migliore” non
può non tener conto del contesto comunitario in cui Luca scriveva il suo
vangelo, quando si profilavano problemi di divisione dei compiti tra chi
porgeva la Parola in maniera (ritenuta) autorevole e fedele alla prima
tradizione apostolica e chi invece si occupava di mense, della conduzione della
casa ecc. La parte migliore spettante a Maria
divenne la base per attribuire un valore di superiorità qualitativa a chi aveva
l’onere di continuare l’opera evangelizzatrice di Gesù o, in un secondo tempo, a
chi si ritirava nella vita solitaria del deserto, e ancora in seguito, nei
monasteri.
Non è da
dimenticare che precedentemente Luca aveva parlato dell’estensione del ruolo di
evangelizzatori, oltre che ai 12 apostoli, ai 72 discepoli; e (aveva parlato) del
dottore della legge che aveva ridotto i comandamenti ad uno solo: "Amerai il Signore Dio tuo su tutte le
cose ed il prossimo tuo come te stesso" (Lc 10,27). Considerando
questo come unico comandamento, risultava privo di efficacia il gesto del Buon
Samaritano rispetto al comportamento del sacerdote e del levita, i quali non avevano
degnato di uno sguardo il malcapitato nella strada da Gerusalemme a Gerico. (E
certe idee si sono trasmesse fino ai nostri giorni: pian piano hanno agito
-diremmo oggi- nel subconscio, costruendo una mentalità fondata su paradigmi condizionanti).
Qui abbiamo messo insieme parabola e realtà. Ma è il caso di
ricordare che cadremmo in un’altra ingenuità nel fare dei distinguo precisi.
L’evangelista non si proponeva di fare la cronaca esatta degli avvenimenti
narrati e delle relative parabole; fatti e parabole servivano allo stesso
scopo: focalizzare l’insegnamento di Gesù.
= Tornando alla frase “Maria ha scelto la parte migliore”, non ci fermeremo più a fare preamboli, non
discuteremo sulla possibilità di un litigio tra Marta e Maria, ma rileggeremo
il testo sondando in esso in profondità.
- Le due sorelle rappresentano in forma tipologica le caratteristiche
della comunità lucana.
-Il ritratto (ideale) di Maria
ai piedi di Gesù in ascolto della Sua parola non riguarda semplicemente la sua posizione
concreta, ma definisce la sua identità: Maria è colei che sta ai piedi
di Gesù. Anche l’evangelista Giovanni ce la presenta così: alla morte del
fratello Lazzaro, Maria, chiamata da Marta, “si gettò ai piedi di Gesù” (Gv
11,32); oppure, alle soglie della passione, Maria cospargerà di olio profumato
i piedi di Gesù (Gv 12,3). Maria è la donna
seduta a terra ai piedi di Gesù; sembra che questa sia la sua posizione
naturale. Ma quel che conta è la sua posizione di ascolto, di confidenza, di
rispetto, di sottomissione, di affidamento. Maria non sta facendo qualcosa ai
piedi di Gesù, ma è uditrice della Parola, è colei che crede a ciò che Gesù le
dice senza parole e che lei si lascia plasmare in cuore. Questa è la sua
identità.
E Marta? No, non va
contrapposta a Maria. L’ascolto e
il fare-per debbono abitare entrambi dentro di noi; e non contrapposti, bensì
composti; come le sorelle, che in tal
modo potevano essere capaci di una vera ospitalità nei confronti del Maestro.
Così facendo, potremmo
leggere le parole di richiamo di Gesù come la chiamata insistente e forte a
lasciarsi amare da Lui: questa è la “parte buona che non le sarà tolta”,
l’unica cosa necessaria.
Maria è discepola perché
accetta il dono di Gesù. Non è colei che serve Lui, ma colei che accetta il
servizio di amore che le presta il Maestro, amministrandole il dono della
Parola, rivelandole il Suo amore.
= Forse oggi, in una società frenetica e
scriteriata, è più che mai urgente il richiamo alla dimensione contemplativa
della vita cristiana. E’ nota l’asserzione di un noto teologo del nostro tempo: “Il cristiano del ‘2000 o sarà un mistico o non sarà
cristiano” (K. Rahner).
Tuttavia
il tema principale del brano è quello dell’accoglienza. Il forte richiamo di Gesù a Marta giunge anche in un
tempo in cui la mistica viene confusa con dottrine misteriosofiche per persone
e per gruppi che non sempre si sporcano le mani aiutando gli altri.
Dobbiamo liberare dalle
nostre costruzioni e costrizioni mentali sia la Marta sbagliata sia la Maria sbagliata.
E non è un lavoro facile. Ci
va un’intera esistenza per conservare il tesoro cumulato con l’assiduo ascolto
interiore, e per poterlo spendere a favore di noi stessi e degli altri nei
momenti di bisogno.
N.B. Mi sono
servita ampiamente degli approfondimenti fatti da esperti. Questi non sono
stati copiati. Talvolta si sono mescolate in me le loro tesi e le loro parole;
ma la miscela è tutta frutto del materiale che ho dentro di me.
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