Lc 14,25-33 XXIII DOMENICA T.O. anno C
25 In quel tempo,
una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
26 Se uno viene a me e non
odia suo padre e la madre e i figlie i fratelli e sorelle, e ancora la sua
stessa vita, non può essere mio discepolo.
27 Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me,
non può essere mio discepolo.
28 Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a
calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? 29 Per evitare che, se getta
le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono
comincino a deriderlo, dicendo: 30
‘Costui ha iniziato a costruire, ma non è
stato capace di finire il lavoro’.
31 Oppure quale re, partendo in guerra contro
un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini
chi gli viene incontro con ventimila? 32
Se no, mentre l’altro è ancora lontano,
gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
33 Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può
essere mio discepolo.
SUCCINTA ANLISI
DEL TESTO
25 In quel tempo,
una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
Con questo versetto
introduttivo pare che Gesù ritorni ad evangelizzare. Egli sta dirigendosi verso
Gerusalemme, dove morirà crocifisso e risorgerà (ma in realtà l’evangelista
dedica queste pagine ai numerosi convertiti della Chiesa nascente).
26 Se uno viene a me e non
odia suo padre e la madre e i figli e i fratelli e sorelle, e ancora la sua
stessa vita, non può essere mio discepolo.
La
traduzione italiana del testo del brano ha avuto due versioni: quella del 1974
e quella del 2008. Nel vangelo secondo Luca la
frase suona come abbiamo letto.
Il testo originale è greco, data la vicinanza dell’autore
alla lingua ebraica ed alla aramaica, che non hanno il comparativo (più di). Invece la versione di Matteo
è questa: chi avrà tenuto per sé la
propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la
troverà.
Questo stesso detto appare altre volte negli altri
vangeli; leggiamo ad esempio in Giovanni: chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo
mondo, la conserverà per la vita eterna.
D’altra parte il
significato di odiare, in greco misein (da cui la parola misantropo), è
posporre decisamente.
Storicamente queste
parole erano rivolte a persone singole scelte da lui, ma nella Chiesa di Luca esse
(queste parole) continuarono ad avere efficacia soprattutto durante le persecuzioni
e furono percepite come rivolte a tutti i credenti (le folle).
Utilizzando il
verbo essere (e non diventare) mio
discepolo, e i verbi al tempo presente, l'evangelista si propone di
puntualizzare, non solo la scelta iniziale con cui si diventa discepoli, ma il
comportamento che deve caratterizzare tutta l'esistenza del cristiano:
scegliere Cristo esige la prontezza a posporre i legami familiari e la propria
vita, in modo da essere veramente e durevolmente suo discepolo. La
richiesta di Gesù dunque non è più limitata a persone che devono seguirlo
concretamente sulle vie della Galilea.
27 Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me,
non può essere mio discepolo.
Luca insiste sul valore permanente e quotidiano di tale
realtà. Ognuno ha la sua croce, cioè sofferenze e prove. Ma nel
contesto c’è l’invito ad una comprensione ancora più radicale: la disponibilità
a dare la propria vita, la prontezza al martirio per la causa di Cristo. Inoltre ‘portare la croce’ non è affatto sinonimo di passiva
rassegnazione, bensì appartiene alla definizione del discepolo.
28 Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a
calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine?
La domanda retorica chi
di voi? introduce generalmente una similitudine.
29 Per evitare che, se getta le fondamenta e
non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a
deriderlo, dicendo: 30 ‘Costui ha iniziato a costruire, ma non è
stato capace di finire il lavoro’.
Un
lavoro incompiuto mette il responsabile in balìa degli scherni altrui e lo
rende ridicolo: la reputazione era una realtà molto importante in Oriente.
31 Oppure quale re, partendo in guerra contro
un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini
chi gli viene incontro con ventimila? 32
Se no, mentre l’altro è ancora lontano,
gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Nel
contesto del vangelo di Luca, le due similitudini hanno lo scopo di
sottolineare tutta la serietà della vocazione cristiana. Potrebbero anche essere
lette come invito a rinunciare alla vocazione cristiana, per coloro che non se
ne sentissero all'altezza.
In
realtà si tratta di appelli a riconoscere che la realtà cristiana è una cosa
seria: occorre essere pronti a mettere tutto in gioco, anche la propria vita e
i propri beni, per vivere pienamente tale scelta.
33 Così chiunque di
voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.
La
relativizzazione dei legami parentali si lega al tema della croce.
Significativamente Luca qui usa il verbo bastázein,
che viene tradotto con portare, sostenere piuttosto che il matteano lambánein, che vuol dire prendere, accogliere.
In
sintesi Luca mette in guardia i lettori di ogni tempo avvertendoli che il cuore
umano è incline a legarsi. Nessuno si illuda: la forza attrattiva delle realtà
di questo mondo tiene il cuore umano avvinto a tutto ciò che lo sostiene, lo
consola, lo gratifica. Il movimento di Gesù è per i neofiti promessa di un
esodo verso la libertà assoluta che può sedurre al principio per poi creare
forti disillusioni e sensi di colpa. Il realismo lucano qui è garanzia di una
fede adulta.
Con queste parole ha termine il capitolo 14 del vangelo
secondo Luca.
PERSONALE
Volendo dire qualcosa di strettamente personale preferisco spostarmi
su un altro fronte.
Non so gli altri, ma io ho vissuto i fatti politici attuali in
pieno.
Mi sono chiesta: cosa significa l’attuale matrimonio del Pd
(partito con una sua solidità, a prescindere dall’arroganza di parecchi
iscritti, sicuri che a sbagliare sono sempre gli altri), e i grillini,
scapigliati-antisistema?
Anche solo accennando alla mia perplessità, ho dovuto arretrare
di fronte alla sicumera di chi parteggia per l’una o per l’altra parte politica;
e perciò ne ho taciuto…
Ma una mia impressione voglio spiattellarla al di dentro di
questo commento.
In TV ho sentito dibattiti e ho letto titoloni di giornali in
contrapposizione.
Arrivato ‘il giorno del giudizio’ dei dati di fatto, ho notato
una sola cosa.
Ecco.
Che fasto nel panorama generale del Viminale! E quale
atteggiamento di gioia e di soddisfazione in chi è diventato ministro/a!!!
Ho pensato a quel che diceva Platone [riporto in maniera
approssimativa]: chi è chiamato a
governare deve farlo con riluttanza e, se possibile, deve esserne costretto perfino
con la forza.
In questo clima, invece si rivendica il diritto a pretendere il
non-uso del termine poltrone e, più in generale, a difendere le proprie
posizioni.
- Dunque, governare è, o no, un privilegio? Perché gli
schieramenti e le contrapposizioni anche
nell’esprimere pareri, anzi veri e propri fanatismi? E perché, in campo
religioso, confondiamo la radicalità evangelica col radicalismo
esasperato?
- In sintesi, quel che
non vogliamo capire è sia la fragilità interpretativa, sia la transitorietà delle
cose di questa povera terra. Tanto che verrebbe da concludere col motto di
Cesare Augusto, detto poco prima di morire. Guardandosi attorno egli chiese: la commedia è finita?
= Ma la mia
conclusione più opportuna è quella riguardante la Parola di Dio, cioè
riguardante la fede che deve sorpassare i piccoli credo umani. Le vere risposte a tutti i problemi umani non ce le
danno gli schieramenti, ma il silenzio, cioè lo spazio riservato
all’interiorità dove Dio parla nascostamente, ma, veracemente. Basta essere
seriamente consapevoli del bisogno che abbiamo di trascenderci ascoltando Lui e
non noi stessi. E…. pagando di persona, come Aldo Moro, vera Vittima dei
garbugli umani.